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I libri del 2017

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Come l’anno scorso, rubrica bibliostatistica di fine anno. Prima qualche dato sui libri letti, poi le recensioni.

Bibliostatistiche

33 libri finiti, per 9302 pagine totali. In tutto sarebbero 44, ma vari li ho abbandonati durante il percorso. Un paio penso di finirli nell’anno che viene, e precisamente FRBR di Karen Coyle (scaricabile gratis qui), Thinking Fast and Slow di Daniel Kanheman, Capire l’economia in sette passi di Leonardo Becchetti: non a caso, sono tutti ebook (mi si è rotto l’ereader in primavera, e ci ho messo mesi prima di prenderne un altro. Mi si è rotto anche il computer, e ho dovuto ritrasferire tutto… Per cui mi sono perso dei pezzi per strada. Ma i libri sono tutti belli e hanno bisogno del loro tempo).

Rossi finiti, viola abbandonati, verdi da finire.

Gli editori vincenti sono Adelphi e Einaudi: anche qui, nessuna sorpresa. Qualche piccolo editore in più, certamente, nuovo dato possibile dal fatto che quest’anno, appunto, non ho comprato solo libri usati, ma anche nuovi a metà prezzo. Di fatto, quindi, 22 editori totali, su 44 libri, non male.

A sinistra, lo spessore della linea è dato dal numero di pagine. A destra, dal numero di libri.

Sembra quasi una legge di potenza, in cui i primi, pochi editori si equivalgono in numero a quegli altri.

Adelphi e Einaudi da soli sono quasi la metà degli altri editori.

Come l’anno scorso (tre), solo poche autrici (cinque): inizio a vedere che è una cosa sistemica. Non lo faccio consciamente, ma è evidente che cerco libri scritti prevalentemente da maschi. Ci sono sempre eccezioni, ma c’è anche la regola: non so bene cosa farci al momento.

Il verde è Autori vari.
Dimensioni per numero di pagine.

Anche le nazionalità, duole dirlo, sono sempre le stesse (Giappone e Belgio sono nuovi, per me):

Dimensione è sempre numero di pagine.

Qui si vede meglio:

Area per numero di libri.

Il rapporto fra fiction e non fiction mi pare sempre lo stesso, anche se negli ultimi anni la domanda inizia ad acquistare sempre meno senso: come catalogare Carrère, O’Hagan, Wallace, Vasta, White? Senza entrare in un discorso a questo punto fine a sè stesso, è ovvio che non sono saggi accademici, non sono opere di pura invenzione, ma sono disseminati in punti diversi dello spettro continuo fra questi due estremi. Forse ci starebbe una nuova categoria, ibrida.

Blu nonfiction, rosso fiction. Dimensioni per numero di pagine.

A pensarci bene, un’altra dimensione importante (sempre a spettro continuo, e abbastanza soggettiva) ci starebbe per complessità/difficoltà di lettura. A volte un romanzo (vedi Infinite Jest) è una bestia molto più difficile da digerire di un libro di articoli (vedi I demoni della pasta sfoglia). E quasi a parità di numero di pagine. It me lo sono mangiato in pochi giorni… Questa difficoltà è spesso correlata con quanto tempo ci metto a finire un libro. Per cui un’analisi più accurata (che non riesco davvero a fare perché mi mancano i dati, aNobii non li lascia esportare) prevederebbe guardare anche al numero di pagine totali, rapportate al numero di giorni di lettura.

Recensioni

Quest’anno a Modena hanno aperto non una ma due librerie dell’usato: una classica, a poco prezzo ma con libri spesso belli. L’altra, a fianco, con libri nuovi, a metà prezzo. Questo spiega l’esistenza di tutti questi libri “nuovi”, cioè usciti da poco. È stata certamente una una bella novità, per me. È così che legge la gente normale?

Quest’anno ho letto in maniera un po’ sconnessa (ho chiamato casa, anche se temporaneamente, quattro luoghi diversi), e forse, in termini di libri, è stato un anno meno felice letterariamente di altri, con qualche meritevolissima eccezione.

Absolutely nothing di Giorgio Vasta

Non avevo mai letto nulla di Giorgio Vasta: tutto a mio detrimento, pare.

Libro fotografico della premiata ditta Quodlibet & Humboldt, che fa libri bellissimi dentro e fuori, con copertine minimali ma esatte, e la palette dei colori solitamente perfetta.

Esatto e perfetto sono aggettivi che potrebbero vestire anche la prosa di Vasta: precisa al millimetro, erudita, dizionariale (se si può dire), mai gratuitamente pesante, riempie il deserto di sassi-parole, uno alla volta. La scrittura spesso deraglia, vaga raminga ma poi torna sempre, ritrova il suo baricentro, la strada che aveva momentaneamente perso. Densa è certamente un altro epiteto possibile: oltre che vasta, nomen omen.

Ho apprezzato varie cose del libro: la prosa, ovviamente, l’ibrido diario/prosa/saggio/reportage, come l’ibrido immagini e parole, ma credo soprattutto la candida ammissione di raccontare una menzogna mischiata con la verità, perchè era giusto così. Non sappiamo cosa sia davvero successo, nel viaggio di Giorgio, Ramak e Giovanna, e in un certo senso poco importa.

Alcune pagine (penso specialmente al “Tentativo di comprensione di che cosa mi è stato effettivamente rubato in sogno”) sono davvero splendide, e credo resteranno (in me, almeno). Altri esperimenti mi hanno preso meno (soprattutto il dialogo con Spike), ma l’ambizione del libro penso si faccia perdonare moltissimo. A suo modo, un libro da mare e da montagna, di interminati spazi e sovrumani silenzi.

Storia del Saggiatore

Libercolo omaggio regalato nello stand dell’omonima casa editrice, a Tempo di Libri, Milano, 19–23 aprile 2017. Storia breve della suddetta casa editrice: le origini con Alberto, figlio del più famoso Arnoldo, figura titanica dell’industria culturale italiana, e figura titanica tout court, tanto che il povero Alberto ne soffrì tutta la vita. Il libercolo è interessante anche se personalmente l’ho trovato un po’ arido. Parte della storia già la sapevo (letta nel gigantesco Arnoldo Mondadori di Enrico Decleva), ma io non mi stanco mai di leggere le biografie delle italiche lettere.

L’astore di T.H.White

Ne avevo letto come di uno dei libri più belli dell’anno scorso, e avevo letto giusto.

Libro autobiografico, con una storia molto semplice: a metà anni ’30, il futuro scrittore de “La spada nella roccia” decide di diventare falconiere, si ritira a vita privata, inizia ad addestrare un astore.

Il valore è tutto nello stile, nella lingua rapace, nella follia dell’idea e dei metodi: nelle lunghe notti di veglia, a fiaccare l’orgoglio del falco, tenendolo sul braccio alzato, fiaccando sè stessi con lui; nella pazienza infinita del ripetere i gesti mille volte, e quando si è fallito iniziare da capo; nella magistrale misantropia, evidente ad ogni pagina, di chi sceglie il monachesimo dei falchi. Fuori imperversa la seconda guerra mondiale: ringrazio Terence Hanbury White che decise, solitario, di combatterne un’altra.

Un conto ancora aperto di Ta-nehisi Coates

Secondo libro di Coates che leggo (l’anno scorso ho letto Tra me e il mondo, e mi è piaciuto tantissimo), scopro solo alla fine che era un lungo articolo apparso sull’Atlantic. La tesi è chiara, provocatoria e non ammette nessuna replica: finchè gli Stati Uniti non guarderanno in faccia la tragedia della schiavitù, e tutte le sue enormi e ramificate conseguenze, non riusciranno a tagliare la gamba in cancrena che è la questione razziale. Ergo, a salvarsi.

Todo Modo

La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia

Era tanto tempo che non leggevo Sciascia, di cui lessi poi i soliti (Il giorno della civetta, A ciascuno il suo) tanti anni fa.

Prosa limpida e sottile, direi soprattutto in Todo Modo (romanzo breve), appena meno nella Scomparsa (reportage giornalistico). Bellissimi entrambi, naturalmente, anche se ammetto di non sapere cosa pensare del finale del primo.

La produzione di Sciascia certo non manca, e mi rasserena molto sapere di poterlo leggere con calma, negli anni a venire.

L’amore assoluto di Alfred Jarry

Non ci ho capito un cazzo della minchia di niente. Ricordo che anche Ubu re mi fece un effetto simile: forse semplicemente io e Jarry non ci piacciamo. Peccato perchè, quando ne parlava Borges, questo libro sembrava estremamente interessante (come tutto quello di cui parla).

Lettere agli editori di Louis-Ferdinand Céline

Epistolario di Céline ai suoi vari, derelitti editori. Céline era veramente una persona di merda, e anche se nessuno aveva dubbi questa è un’ulteriore conferma. Libro per coloro a cui piace la sua prosa incendiaria e il suo gusto per l’insulto (davvero ammirevole). Personalmente dopo un po’ ha stancato (ho pure rivenduto il libro, cosa che non faccio mai).

The idealist di Justin Peters

The boy that could change the world di Aaron Swartz

The idealist è una biografia di Aaron Swartz, che da tempo volevo leggere. Fatta bene, scritta bene, con digressioni (forse persino troppo dettagliate) sulla nascita del copyright e la sua storia negli Stati Uniti.

Mi ha stupito, positivamente, la storia del processo, che non conoscevo così nei particolari. Ovviamente sapere il finale lo rende un libro molto triste.

The boy that could change the world è invece una raccolta di scritti dello stesso Aaron, alcuni provenienti dal blog, ma molti invece pubblicati in riviste o altre pubblicazioni. Questo lo rende sicuramente interessante, anche per chi come me il blog se l’è letto tutto (si anche trova in ebook, qui). Gli scritti sono divisi per tematiche, introdotti dai suoi amici, ed è sicuramente il modo migliore per approcciarsi a quello che è il suo pensiero, per quanto è naturale che sia un libro poco coeso (gli articoli coprono tutta la vita “pubblica” di Aaron, da quando aveva 14 anni fino ai 26).

La follia che viene dalle Ninfe

L’innominabile attuale di Roberto Calasso

Il primo non è il miglior Calasso, o perlomeno non quello che capisco di più. Articoletti e scritti sparsi, alcuni già letti in passato.

Il secondo invece, incredibilmente, è uno dei pochissimi libri del magnus opus calassiano (di quelli che costituiscono la sua grande opera, sempre in fieri) che sono riuscito a capire: per la prima volta, parlava di un argomento (il digitale) che conosco bene.

Calasso ha un genere letterario tutto suo: una saggistica personalissima, estremamente letteraria, in cui si permette collegamenti (a volte, completamente estemporanei) e tenuti insieme solo da suo sguardo unico, originalissimo, e del tutto opinabile. Si può leggere solo quando si conosce già l’argomento: dando per scontato il dato, si può ascoltare ciò che ha da dire, senza perdersi (se ci si riesce) nei mille riferimenti. A volte mi viene il sospetto che Calasso non scriva per nessuno, o meglio: il lettore ideale di Calasso non esiste, non può esistere, perchè non esiste chi ha letto come lui, quanto lui. È un’opinione che discutevo anche con Eva Barbarossa, che da anni sta cercando di leggere tutti gli Adelphi.

Venticinque agosto 1983 e altri racconti inediti di Jorge Luis Borges

Se non erro, non ho letto nessuna Biblioteca di Babele l’anno scorso, e bisognava rimediare. Borges è Borges, sempre, e va letto tutto.

Nel territorio del diavolo di Flannery O’Connor

Strano libro, con lezioni di scrittura di Flannery O’Connor, che non ho mai letto ma che scrive, evidentemente, benissimo. Strano perchè, pur ammirando e godendomi lo stile, non mi ha fatto voglia di leggere nessuno dei suoi libri: sarà l’insistenza quasi arrabbiata sui temi cristiani, per di più negli Stati Uniti del Sud degli anni ’50. Not my cup of tea (not my glass of moonshine?).

Come diventare sè stessi di David Lipsky

Una cosa divertente che non farò mai più

Infinite Jest di David Foster Wallace

Come diventare sè stessi è un reportage, mai pubblicato, che lo scrittore David Lipsky ha scritto su DFW, quando hanno passato qualche giorno insieme, nel ’96, negli ultimi giorni del tour promozionale di Infinite Jest. L’anno scorso ci hanno fatto un film, su questo libro (DFW è interpretato da Marshall di How I met your mother, che secondo me se la cava).

Ho letto il libro e guardato il film, in sequenza. Su Youtube si trova anche l’audio originale, registrato da Lipsky. Fa strano vedere una stessa opera in due medium diversi, o addirittura tre (ma non ho ancora avuto il coraggio di ascoltarlo tutto, l’audio).

Di fatto, il libro non è una lunga, poco editata intervista a DFW, con la sua voce che parla ad un registratore, di quello con le musicassette. E in quasi ogni pagina, DFW non fa che parlarsi addosso, parlare addosso all’altro David, parlare addosso al lettore futuro dell’intervista, in uno di quei soliloqui autocoscienti, manipolati e insieme sinceri, che lo rendono unico. E in quasi tutti questi soliloqui, DFW è cosciente di sè, della propria intelligenza e fragilità, disperato di risultare sincero e umile e intelligente allo stesso tempo. Ci devono essere stati ben pochi momenti nella vita di DFW in cui non sentisse il peso di tutto questa sensibilità.

All’inizio del film, Lipsky dice:

Wallace offriva tutto sè stesso, attraversando la nostra bolla di apatia, il nostro attaccamento alla TV, al consumismo, alla politica. Gli scrittori che ci riescono, come Salinger o Fitzgerald, forgiano un legame indistruttibile con i loro lettori. Non sei scivolato dentro il libro per una storia, o informazione, ma per una particolare esperienza. La sensazione, per un certo numero di pagine, di essere David Foster Wallace.

Parte della grandezza di Wallace è proprio qui, in questa sensazione di vicinanza percepita: quella in cui sembra che tu stia parlando con il tuo amico molto più intelligente di te, o un fratello maggiore che va all’università quando tu hai appena iniziato le superiori, e ti spiega e ti racconta, con fare scanzonato e inventandosi le parole e riempiendo tutto di scherzi e parolacce, il senso della vita e semplifica le cose complicate e complica le cose banali.

In qualche intervista su Youtube, fa impressione vederlo parlare: perchè lo vedi soffrire della propria indecisione, dalla velocità della testa che viaggia in tutte le direzioni. Era alto, grosso, bello, intelligentissimo, eppure viziato dalla tigna del pensiero che di fatto se l’è portato via. Da sempre, e continuamente, dilaniato dalla malattia mentale, da quella sanità che gli sfuggiva e che l’ultima parte della sua vita lo eludeva, come la felicità a re Mida, come il cibo a Tantalo. Difficile non vedere come sia questa sofferenza a renderlo così dannatamente vicino ad un sacco di persone.

Infinite Jest, se possibile, esprime tutto ciò (mille volte tanto, sotto steroidi) attraverso il velo della fiction. È un libro per cui, francamente, non ci sono parole. E non intendo in senso totalmente positivo: è un libro che ho faticato enormemente a finire, e che a tratti ho odiato. Ho odiato una prolissità spesso eccessiva (aiutatemi a dire “eccessiva”), ho odiato la violenza di moltissime sue pagine (la ritengo gratuita, e ci non ci sono quasi cose che mi danno più fastidio), ho odiato la noia di altre, centinaia di pagine.

Eppure, allo stesso tempo, è un libro in cui in ogni pagina (e sono più di mille) ci sono piccole frasi, invenzioni verbali, modi originali di descrivere una situazione, un gesto, una sfumatura emozionale. Non è possibile fare esempi perchè il mero numero di quante cose sono buone/ottime/eccellenti in questo libro toglie il respiro. È un libro, fra le altre cose, colmo di sofferenza, e in certi punti mi è sembrato di assistere ad un processo terapeutico: come se quello che ho avuto in mano per mesi fosse l’incarnazione (il resto, direbbe Calasso) di una patologia. Non so se rimpiangere un libro diverso, con 800 pagine di meno. Forse un editor di genio ci riuscirebbe, a preservare solo la sua voce più pulita e poetica. Forse va bene così.

La domanda, per me, rimane sempre quella: ma diocristo, David, perchè?

Bobi Bazlen di Cristina Battocletti

Non mi è piaciuto tanto, ma l’ho spiegato meglio qui.

Rumore bianco di Don De Lillo

Io e la letteratura postmoderna americana abbiamo evidentemente un problema. Non l’ho neanche finito.

La vita segreta di Andrew O’Hagan

Libro che non volevo leggere, per una strana idiosincrasia che sto ancora indagando, e che ha a che fare con il fatto, se così possiamo dire usando una frase un po’ pesante, che, prevalentemente, io leggo Adelphi per dimenticare il presente, non ricordarlo.

Se voglio ricordarlo o capirlo, leggo non fiction di altro tipo, che è pubblicata da altri. Ma per fortuna non mi sono dato ascolto, perchè il libro è bellissimo.

Non conoscevo O’Hagan, ed è stata una scoperta. I profili (soprattutto, di Assange e Craig Wright, il finto/vero Satoshi Nakamoto, creatore di Bitcoin) sono magistrali, narrati superbamente e allo stesso tempo altissima testimonianza sul tempo che stiamo vivendo. Ci sono le storie, i colpi di scena da spy story, i protagonisti della Storia con la maiuscola.

Mi ha fatto strano (la storia dei due medium diversi accaduta in parte anche con Come diventare sè stessi e End of Tour) poi guardare il documentario Risk, di Laura Poitras (regista premio Oscar di quel capolavoro assoluto che è Citizenfour), che visivamente ripercorre gli stessi luoghi ed eventi descritti da O’Hagan nella storia su Assange. Fa strano anche perchè Poitras, come O’Hagan, parte con un’idea in testa e si vede costretta a fermarsi, a rendersi conto che il film che sta girando (il libro che O’Hagan sta scrivendo) non è quello che avevano in mente. Che non possono più ignorare le contraddizioni per raccontare la storia, ma che “le contraddizioni sono la storia”.

Leggenda privata

La stiva e l’abisso

I demoni e la pasta sfoglia di Michele Mari

Michele Mari, o dell’usare la letteratura per lottare contro i propri demoni.

L’ho scoperto quest’anno, e si vede. È uno scrittore incredibile e ho una voglia matta di leggere tutto quello che posso.

Leggenda privata è un libro spaventoso per lingua e per immagini, il gusto dell’horror di Mari è qui sguinzagliato e liberissimo, a iscrivere con gli artigli un lessico familiare fatto soprattutto di silenzi e grugniti. L’infanzia di Michele è stata certamente sanguinosa, e credo che Enzo Mari (leggendario designer e nemesi dell’eroe) potrebbe tranquillamente ambire ad un premio come “Miglior Cattivo” nella classifica libraria del 2017.

Dopo questo (che è stato il grande caso editoriale di quest’anno) ho scelto altri due suoi libri che, a posteriori, non sono i più facili.

La stiva e l’abisso è, per quanto imperfetto, assolutamente sorprendente: mai pensato si potesse descrivere una gamba in cancrena in così tanti modi. La trama è completamente assurda, e non la scrivo perchè mi viene da ridere e gli farei un torto. È un libro da leggere per vedere come si possa scrivere oggi, per dove possa arrivare un romanzo di lingua italiana (oggi e ieri).

I demoni e la pasta sfoglia invece è una lunghissima sequela di articoli e recensioni che Mari ha pubblicato negli anni. Questo libro ha già tre edizioni, per tre case diverse (io ho letto la seconda, del 2010, Cavallo di Ferro). Nonostante la mole enorme, si affronta molto bene, aprendo a caso e godendosi le idiosincrasie e ossessioni mariane (marine?), le sue parole su scrittori che ama e odia.

L’unico peccato è che Mari non lo trovo mai nei negozi di libri usati.

It di Stephen King

Ok, ho circa vent’anni di ritardo, ma ci tenevo a leggerlo prima del film.

È un libro di una bellezza estrema, e tutto quello che la letteratura di fantasia dovrebbe essere. La trama è quasi perfetta, e nonostante King non sia la Campo ha una scrittura leggera e, in questo caso, mai banale. Ci sono sicuramente alcune cose un po’ incomprensibili (ho scoperto con piacere che anche Michele Mari (I demoni e la pasta sfoglia) non sopportava la tartaruga cosmica)(e poi, vogliamo parlare di quella scena?), e probabilmente il libro non ha mai visto un editor. Ma non importa.

Non ci sono tanti libri a cui si possono attribuire le parole di Borges, ma questo è uno di questi: è una delle forme della felicità, e sinceramente non trovo un complimento più bello.

Mi ha proprio fatto del male fisico finirlo (also, Beverly ❤)

Propizio è avere ove recarsi di Emanuel Carrère

Carrère che fa Carrère, ma è un Carrère prima di Carrère, un ritratto dell’artista da giovane, meno famoso. Un mosaico di interviste, reportage, articoli, che illustrano frantumato il volto di un autore presuntuoso, egocentrico e assolutamente fantastico. Mi è piaciuto molto.

Bestiario di Julio Cortàzar

Non me ne vorrà l’amico Andrea Meregalli, grande fan, ma questo è il mio primo Cortàzar, e non mi è piaciuto. Cioè, si capisce che è bravissimo, e qualche racconto mi è rimasto (i coniglietti…) Non è la prima volta che ci provo, forse non ci piacciamo e basta.

Gratitudine di Oliver Sacks

Uno degli ultimi libri dell’anno, regalatomi per Natale dai miei fratelli, e forse una mezzora scarsa di lettura… però è Sacks, e ho trattenuto a stento le lacrime. Il mondo ha perso veramente moltissimo. Da rileggere ancora, fra dieci, venti, cinquant’anni.

? di Antonio Sgobba

L’anno scorso avevo letto questo bell’articolo sulla Biblioteca di Babele e Google, che avevo molto apprezzato perchè per una volta la metafora era stata usata bene (la questione è un mio pallino particolare).

Con Antonio poi ci siamo scritti e seguiti su Facebook, e senza che io gli chiedessi niente mi ha gentilmente mandato il suo libro, per cui ci tengo a ringraziarlo pubblicamente.

Il libro è estremamente documentato, e ricostruisce qualcosa a cui non avevo mai pensato: una storia filosofica dell’ignoranza, del concetto di ignoranza. L’ignoranza, secondo Sgobba (e una pletora di illustri predecessori) non è tanto una mancanza di conoscenza, quanto semplicemente l’altro lato della stessa medaglia: non si dà l’uno senza l’altro. Questo è importante perchè la mitologia corrente della Silicon Valley vuole costruire invece un’utopia (distopia?) fatta di puro giorno, in cui ogni cosa illuminata e le tenebre del non sapere verranno scacciate via. Ma se la sfera della conoscenza, come davvero succede, si espande ogni giorno in un nero universo di ignoto, allora, necessariamente, questa sfera sarà a contatto con sempre più tenebre. Per quanto possiamo allargare l’universo conosciuto, sapremo sempre di non sapere, e sempre più cose.

Le conseguenze di questa piccola, cruciale verità le stiamo vivendo ora. Il libro, come dicevo, è molto documentato, e in alcuni punti troppo storico e filosofico per i miei gusti: in un certo senso, l’ho trovato molto ambizioso, che a volte è un pregio e altre volte un difetto.

Storia naturale della distruzione di Winfried G. Sebald

Inseguivo questo libro da tempo, se non altro per il titolo fulminante. Il libro affronta quello strano fenomeno di collettiva amnesia che colpì il popolo tedesco subito dopo la guerra, per cui non c’è mai stata letteratura (cioè racconto, memoria) dei bombardamenti subiti dalla stessa Germania durante quegli anni. Si parla di un milione di tonnellate di bombe, centinaia di città distrutte, migliaia di morti, milioni di sfollati. Sebald procede con piglio analitico e lucidissimo sguardo a indagare le ragioni e le caratteristiche di questo silenzio, affrontando in una serie di conferenze il problema. Dovevano, in origine, essere conferenze di poetica: in un certo senso, lo sono davvero.

Primo Levi di François Carasso

Dopo aver letto Il sistema periodico, l’anno scorso, ho deciso di esplorare meglio l’opera di Primo Levi. Questo è un saggio su di lui, ma ammetto che l’ho trovato noioso, spesso. Sto aspettando che mi cresca dentro il coraggio per l’opera-monstre di Marco Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, che è qualcosa a cui guardo con apprensione, ma anche speranza.

Tutto nasce da Il sistema periodico, appunto, e dalla sensazione, personalissima, che Levi sia ancora un classico che ha moltissimo da dirci.

Ho trovato la sua scrittura pacata, lucida e nitida un qualcosa di cui ho bisogno, e credo tutti quanti. È un’educazione alla ragione e al ragionamento, alla memoria, alla comprensione, al perdono, forse. Trovo pochissimi altri autori che possano scrivere come lui, e nessuno dalla suprema cattedra di cui Levi, suo malgrado, può fregiarsi. Per quanto siano complicati i nostri tempi, i suoi lo erano di più. È dunque una saggezza importante, che andrebbe riscoperta; non credo si possa chiedere molto di più ad uno scrittore.

Altri:

  • Storie di libri perduti di Giorgio Van Straten
  • L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione di Pekka Himanen
  • Sulla maestria di Junichiro Tanizaki
  • L’intellettuale militante di Michael Walzer
  • Van Gogh di Antonin Artaud
  • Nioque de l’avant-printemps, ovvero Cognizione del periodo che annuncia la primavera / Nioque de l’avant-printemps di Francis Ponge
  • Tutto è in frantumi e danza di Guido Maria Brera, Edoardo Nesi
  • Thinking, Fast and Slow di Daniel Kanheman
  • Umanistica digitale di Peter Lunenfeld, Johanna Drucker, Anne Burdick, Jeffrey Schnapp, Todd Presner
  • L’editore ideale di Piero Gobetti
  • Il lavoro intellettuale come professione di Max Weber

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